Dal paesaggio naturale a quello “Urbano”

Il primo a definire che cosa è il paesaggio naturale è stato Alexander von Humboldt (1769-1859) che nella sua aspirazione a descrivere il mondo e le sue innumerevoli diversità si sforzò di trovare le ragioni di tali diversità, utilizzando le conoscenze naturalistiche con le quali poteva spiegare i complessi meccanismi che legano tra loro, secondo influssi reciproci, fenomeni attinenti alla geosfera, all’atmosfera e alla biosfera. 

La sua visione naturalistica, di base scientifica, è stata rivista da diversi geografi, alcuni, di scuola deterministica, che ritenevano che l’uomo fosse condizionato dalla natura nel suo agire; altri, come i rappresentanti della scuola francese di geografia, capeggiata da Vidal de la Blache (1845-1918), assegnavano all’uomo una libertà di scelta nel suo operare, sia pure in un campo di possibilità più o meno ampie offerte dalla natura. Tuttavia oggi è difficile parlare di natura incontaminata, come espressione di un  paesaggio preminentemente naturale. La nozione di paesaggio è ancor oggi divisa da questi due orientamenti che riguardano il ruolo assunto dall’uomo nel costruire il paesaggio. Il primo si inserisce nella visione ecologista, che studia e si interroga sulla capacità dell’uomo di modificare e turbare gli equilibri naturali. L’altro orientamento, che mette al centro del paesaggio l’uomo (attore e percettore), dà molta importanza alla percezione, tramite sensoriale, attraverso il quale l’uomo si rapporta alla natura. A ciò si connette il tema delle forme, per il quale il paesaggio è da intendere come visione estetica del mondo in cui viviamo. Il paesaggio naturale è ciò che si rapporta ad un luogo fisico, quale può essere la pianura, la montagna, i fiumi, le foreste, cioè tutto quello che ha le proprietà di estensione, di rilievo della superficie.

Il paesaggio rurale o artificiale include il concetto di trasformazione del territorio a scopo produttivo o estetico. Esso si manifesta attraverso l’intervento dell’uomo che modifica il territorio e lo caratterizza secondo le proprie esigenze economiche. Anche nel paesaggio rurale  vi sono aspetti, oltre che quelli produttivi, di ordine culturale e ambientale. Il paesaggio rurale costituisce un elemento fondamentale di interconnessione fra l’attività umana e il sistema ambientale,    in cui “la capacità dell’uomo di influire sul territorio si esplica con modalità diverse, che possono variare in relazione alle diverse situazioni ambientali e alle diverse tecniche produttive, ma che comunque si basano sulla necessità  di trovare un equilibrio con le condizioni dell’ambiente in cui si opera”. Il mondo rurale esprime comunque una serie divalori culturali di enorme rilievo, legati soprattutto ad un insieme di aspetti riconducibili alle tecniche di coltivazione, all’artigianato tipico, alle tecniche architettoniche e costruttive, alle produzioni agroalimentari (tradizionali e non), alle forme di controllo e di gestione ambientale, alla cultura e alle tradizioni delle aree rurali. Generalmente il processo di identità di un territorio ha visto in primo piano le società rurali, dove l’identità territoriale si è formata per primo e ha caratterizzato l’intero territorio. Infatti, nelle società rurali o pre-industriali i riferimenti territoriali erano inscindibili da quelli sociali e le società stesse costruivano su precisi territori la propria identità; infatti sul territorio le popolazioni trovavano i propri miti, i propri patres e le proprie radici (Turri, 2010).

La riscoperta del mondo rurale – e con esso anche del paesaggio rurale – è un passaggio necessario verso una valorizzazione della nostra cultura e della nostra storia, ma anche del cammino della nostra civiltà e della nostra economia verso i modelli di crescita orientati allo sviluppo sostenibile. E’ proprio nel mondo rurale che si manifesta in maniera organica e completa l’identità di una  popolazione, che è espressione di una cultura che si rifà ai propri miti, alle proprie radici culturali legate alle proprie tradizioni, al modo di rapportarsi alla terra e al proprio territorio, al mondo del lavoro, da cui nasce la società e su cui costruisce il proprio futuro. Del resto sappiamo che “nelle società rurali o pre-industriali i riferimenti territoriali erano inscindibili da quelli sociali e le società stesse costruivano su precisi territori la propria identità” (Raffestin, 2003). Il tema del paesaggio rurale inoltre interessa anche i rapporti città-campagna e i modelli di intervento per le aree agricole e forestali prossime ai centri urbani, considerato che negli anni recenti si sono avuti rilevanti e spesso devastanti fenomeni di consumo dei suoli e di trasformazione di aree agricole in zone urbane e industriali, con la perdita di una rilevante quota di superfici agricole, particolarmente nelle aree periurbane e costiere.

Accanto al paesaggio naturale e a quello rurale bisogna aggiungere il paesaggio urbano, che racchiude in sé un alto significato storico-culturale. Del resto la civiltà umana è sorta grazie alla nascita del paesaggio urbano, da cui ha inizio la storia dell’uomo. Attraverso il paesaggio urbano ogni civiltà si racconta. Racconta innanzitutto se stessa, la propria architettura, i modi di dar forma al suo abitato e, dunque, anche i modi di abitare e di vivere la città stessa. Ogni centro urbano, attraverso la sua urbanistica, la sua architettura è come un archivio storico, in cui è possibile ricostruire la storia della città, la sua cultura, le sue tradizioni, i modi di rapportarsi al territorio e quindi al suo paesaggio non solo urbano, ma anche al suo paesaggio rurale e naturale. Il paesaggio urbano è lo specchio della sua anima, del suo raccontarsi, del suo farsi centro urbano, con la sua vita associativa e le sue peculiari bellezze estetiche e monumentali, le stesse che rappresentano l’evolversi della sua cultura e della civiltà a cui si appartiene. Ogni città è l’espressione più genuina della propria identità storica e culturale. Se ad un individuo viene  distrutta la propria città, quello sarà sempre un esule nel suo territorio che non gli appartiene più. Non c’è uomo che non si rapporta per cultura e tradizioni alla sua città, dove è nato e probabilmente vorrebbe morire.

La città è l’anello di congiunzione fra il proprio mondo e quello che rimarrà dopo la sua morte. Non vi è alternativa al legame che ogni individuo ha  con la propria città. Città intesa come passato ma anche come presente. Ogni passato della propria città viene sentito come arricchimento culturale, su cui fondare il presente e il futuro. Esso è parte fondante della nostra identità. Del resto non possiamo fondare il futuro senza far i conti con il nostro passato. Per questo, quando costruiamo una città, oppure quando decidiamo di allargare i suoi confini, bisogna sempre conservare ciò che gli altri hanno lasciato come testimonianza, che acquista valore fondante della cultura di un popolo, lo stesso che ha costruito la sua città. In ciò mi riferisco al tessuto edilizio di una città, alla sua architettura, agli elementi costruttivi del paesaggio urbano, fra cui le strade, le piazze, i monumenti, i palazzi, le chiese, ma anche ai suoi musei, alle sue tradizioni, alla sua cultura. Tutto questo costituisce, come afferma M. Carta, l’armatura culturale del paesaggio urbano, di cui ogni popolazione deve essere in grado di riconoscere (Carta, 1999). Infatti, l’armatura culturale del territorio è la capacità di interiorizzare il proprio territorio urbano e rurale, oltre che naturale, al fine dell’autoidentificazione, promuovendo così la propria matrice identitaria. In altri termini c’è bisogno di creare le basi per un processo di autoriconoscimento dei propri luoghi e della propria cultura identitaria. Del resto, come afferma C. Truppi, “La contemporaneità è accumulazione di passato, che non si può rimuovere né deformare, individuare le radici e le condizioni del costruire significa abitare la contemporaneità in maniera consapevole, compiuta e partecipe, correlandola a ciò che l’ha portata e all’identità del contesto cui ci si riferisce” (Truppi, 2011, p. 120).

In questi ultimi anni, il concetto di paesaggio si è andato evolvendo, tanto da far scrivere, prima nella Convenzione Europea del Paesaggio (2000), e poi nel Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (2004), che  il paesaggio è l’espressione del comune patrimonio culturale di un popolo, la sua identità, “il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni”. Quindi, non più il paesaggio inteso come un insieme di fattori fisici e umani, ma come espressione dell’identità di un popolo, di una nazione. Ciò mi sembra molto importante in quanto il paesaggio viene visto come espressione di una caratterizzazione identitaria di un popolo, come  interazione fra la natura e l’uomo, il quale esercita la sua podestà nell’ambito delle sue prerogative di trasformare la natura secondo le proprie esigenze sociali e culturali. Tutto ciò porta di conseguenza verso forme di sostenibilità territoriale, la cui finalità è quella di promuovere uno sviluppo locale autosostenibile, “dove il termine ‘locale’ vuole mettere in evidenza la valorizzazione delle risorse territoriali e l’identità di un luogo, mentre ‘autosostenibile’ sta ad indicare l’importanza di una ricerca di regole insediative, economiche e politico-sociali  produttrici di omeostasi locali e di equilibri a lungo periodo tra ambiente naturale, ambiente costruito e ambiente antropico” (Magnaghi, 2010). Ma da solo lo sviluppo locale autosostenibile non basta, se alla base del “Progetto locale” non vi è l’acquisizione di una nuova “coscienza” paesaggistica, fondata principalmente sulla consapevolezza che il paesaggio è “un’opera d’arte” in quanto espressione di una collettività che ha plasmato secondo la propria cultura la sua fisionomia e ne ha fatto, secondo R. Assunto, uno “spazio aperto”,  in cui l’infinito diventa finito attraverso lo sguardo dell’uomo, che ora percepisce l’identità, l’anima, il genius loci, lo stesso che ha caratterizzato tutta la filosofia degli antichi nel rapporto fra l’uomo e la natura (Assunto, 2006; Norberg-Schulz, 2011).